Le avventure di Stinky

 

Cap I: Il calzino e le stelle.

Stinky è un serpentello magico, nato da un calzino puzzolo di Anna durante una notte di luna iena, in cui le stelle erano nascoste dal riflesso luminoso della luna sulle nuvole pene di smog. Il calzino, alzatosi per la troppa luce, aveva infatti dimenticato di tirare giù le persiane, guardò fuori dalla finestra e vide, o meglio non vide, con grande stupore, le stelle in cielo. A Torino, è qui che s ambienta la nostra storia, c’era lo smog; e quella coperta grigia, che nell’oscurità della notte era diventata color blu opaco, copriva tutto il cielo, impedendo alla città di fermarsi a contemplare quel tappeto blu puntinato di diamanti luminescenti.

‘È terribile’, pensò il calzino, ‘Come fanno i bimbi ad esprimere i loro desideri ed a far risplendere nei loro occhietti vispi la luce delle stelle e delle loro speranze?’

La notte era davvero triste: non solo il calzino si era svegliato nel cuore della notte, rovinandosi il bel sogno che lo vedeva in un paio di scarpe fresche ed ariose, diverse dalle solite puzzole che Anna indossa sempre; ma aveva anche assistito ad uno degli spettacoli più deprimenti della sua breve vita da pedalino.

Non era certo un tipo arrendevole, anzi, potremmo dire che era la testardaggine personificata, cioè… calzinificata. Si rese dunque conto che doveva fare qualcosa ed iniziò a pensare ad una possibile maniera per far in modo che quei bottoncini splendenti uscissero dalla foschia e risplendessero su tutti i bimbi sognatori, come la sua piccola proprietaria.

Ma, per risolvere il problema, bisognava innanzitutto studiarlo; ed era proprio questo il problema: come poteva lui, pezzetto di stoffa appena uscito dal cassetto della biancheria, sperare di raggiungere le stelle nello spazio?

Dopo aver fatto un paio di tentativi, usando degli elastici e dello scotch, ed essere riuscito solo a spiaccicarsi sul vetro con tutti i fili tirati dai pezzetti di nastro adesivo, decise di chiedere aiuto ad un esperto militare.

Corse allora subito a svegliare la tuta da militare che Andrea, il fratellone di Anna, usava per giocare con i suoi amici.

“Scusi” disse timidamente Calzy, il nostro piccolo, stoffoso eroe.

Nessuna risposta.

“Mi scusi” ripetè.

Ancora niente.

Dobbiamo confessare che la tuta, come Andrea, era una vera dormigliona e non si svegliava neppure con le cannonate.

“CHIEDO SCUSA!!!” urlò il povero calzino, ormai stremato dalla tensione.

“Eh? Eh! Cosa c’è? Cos’è successo? Ci attaccano? Ci attaccano?” iniziò a farneticare il generale Mud in preda all’agitazione.

“Non è successo niente, non la stanno attaccando generale.” Lo rassicurò il calzino.

“COSA?!? Allora perché diamine mi hai svegliato?” sbottò.

“Per chiederle un’informazione… Signore.” Rispose Calzy, con un coraggio che non aveva mai trovato dentro di sé, prima.

“Ah sì… Cosa vuoi sapere, figliolo?” farfugliò il vecchio, ancora un po’ intontito dal sonno.

“Ecco vede.. come dirle… io.. dovrei andare nello spazio. Signore.”

“E tu pensi che io sappia come fare per arrivarci? Non sono mica della NASA io! E poi, anche se lo fossi, sarebbero informazioni riservate. Ma tu guarda che impudenza! Venirmi a chiedere una cosa simile! Un ragazzino!

Uhm…

Ragazzino?Ah già giovanotto! Certo, certo. E, dimmi, Vuoi per caso arruolarti?”

“Ma … Io…”

“Eh, capiscimi ragazzo, non è certo così facile! Certo, voi giovani siete pimpanti e pieni di energia e di buona volontà, ma devi essere paziente. Fai una bella cosa: segui Andrea e vai ad informarti all’Alenia, al resto penserò io.”

In realtà il vecchio generale Mud non aveva la ben che minia idea di cosa si dovesse fare per diventare astronauta, figuriamoci se aveva dei contatti.

Ma l’informazione fu, comunque, molto gradita dal calzino.

“Grazie!” esclamò, tutto contento; e, l’indomani mattina, si intrufolò, zitto zitto, piano piano, senza far tanto rumore, nello zaino del fratello della sua proprietaria, per raggiungere l’Alenia.

Andrea infatti era grande, e frequentava il corso di ingegneria aerospaziale, proprio di fianco alla stazione spaziale di nome Alenia.

Arrivato là, il nostro Calzy si trovò disperso: così tanta gente, computer, aerei a palazzi giganteschi. Per la prima volta, da quando si era messo in testa questa idea, iniziò a dubitare delle sue possibilità.

Non sapeva proprio cosa fare: a chi poteva chiede3re?Lì non c’era nessuno che conoscesse o che potesse anche solo dargli fiducia.

‘Quei cappotti no.’ Pensò, tutto concentrato per trovare una qualche soluzione ‘Mi sembrano troppo perfetti e sicuri di loro stessi; devono di sicuro appartenere a qualche pezzo grosso.’

Anche se era solo un calzino, infatti, il nostro eroe non era certo stupido e capiva benissimo che un povero pedalino come lui, se si fosse fatto vedere da qualche impiegato od oggetto vanitoso e snob, sarebbe stato subito buttato nel cestino o lanciato via con sdegno, e dire che lo avevano appena lavato!

Iniziò quindi ad aggirarsi per le stanze della stazione spaziale con cautela, in cerca di qualcuno che fosse disposto ad aiutarlo.

Dovete sapere che la vita da calzini è tutt’altro che facile, ti considerano sempre sporco, ed anche il vestiario da lavare ti emargina. Le uniche con cui puoi stare sono le mutande che però, essendo sporche, sono terribilmente puzzolenti ed anche terribilmente stupide. Questa vita dura però ha insegnato molto al nostro piccolo Calzy: sa che i tipi come lui non vengono considerati da chi si crede chissà chi e, per questo, ha imparato a starne alla larga.

Ma, mentre girovagava, camminando silenziosamente come un ladro, accadde proprio l’ultima cosa che doveva accadere:

All’improvviso una campanella iniziò a suonare una strana melodia, come un motivetto, drin, drin. Drin, drin, drin. Drin, drin.

‘Ed ora cosa c’è?’ Pensò Calzy.

Subito al finire dell’ultimo rintocco tutti gli impiegati si alzarono di scatto ed iniziarono ad affrettarsi verso l’uscita.

Era finito il turno? Era iniziata la pausa pranzo?

No.

I passi erano troppo frenetici e gli impiegati non erano rilassati e felici come alla fine della giornata. E poi era troppo presto per mangiare!

“o no!” Esclamò il nostro piccolo pedalino in preda al panico, “la prova di evacuazione!”

Doveva sbrigarsi: se non si fosse trovato un angolino dove nascondersi sarebbe stato di certo calpestato!

La situazione volgeva al peggio. Calzy non si era mai trovato a dover affrontare una folla di persone dirette a calpestarlo. L’agitazione si era ormai impadronita di lui; se ne stava fermo in mezzo al corridoio bianco come un cencio, soprattutto perché era un calzino ed era bianco, senza sapere cosa fare, dove andare.

Si immaginava già la scena in cui sarebbe stato investito da quel fiume di piedi, quando, all’improvviso, comparve alla sua destra, come illuminata da una luce di salvezza, la porta accostata di uno stanzino, uno sgabuzzino probabilmente.

Calzy iniziò a correre  e si infilò nella fessura della porta proprio mentre tutti gli impiegati passavano velocemente dietro di lui.

Stremato ed ancora agitatissimo si appoggiò al muro e si lasciò cadere per tirare un respiro di sollievo.

“Ciao!”

Il povero calzino, appena scampato ad un pericolo, si sentì il cuore schizzare in gola e si guardò tutt’intorno in cerca di chi avesse pronunciato quel saluto.

“Ehi! Stai tranquo! Non ti mangio mica!”

Dalla penombra uscì uno straccio giallo, che si era legato al lembo della testa uno strano pezzetto di stoffa variopinto a mo’ di bandana.

“Piacere, io mi chiamo Straccy, ma tutti mi chiamano Strax. Tu chi sei?

“Piacere,… Calzy” Mormorò il nostro eroe, ancora un po’ scosso dallo spavento.

“Come Butta fratello?” continuò il giovane straccio, deciso a fare amicizia.

“B-bene…” Calzy era intontito e confuso dall’incontro improvviso.

“Ehi! Cosa c’è? Ti è successo qualcosa?”

“No, no. Mi sono solo spaventato un pochino.” Lo rassicurò il calzino. “Senti, non è che potresti darmi un’informazione?”

“Ma certo!” Esclamò Strax, raggiante all’idea di poter dare una mano all’ospite, “dimmi pure.”

“Vedi,” iniziò il nostro eroe, ormai tranquillizzatosi e deciso più che mai nel suo intento, “ho intenzione di andare nello spazio, sai come aiutarmi?” Chiese speranzoso.

“Mmm… certo non è facile… Ma, aspetta un attimo.”

Subito lo straccio corse via, lasciando il nostro povero Calzy solo e sbigottito per la reazione del nuovo amico.

Calzy era confuso come le parole scritte sul un foglio e cancella te da una goccia d’acqua.

Ma, dopo poco, mentre il calzino si stava lambiccando il cervello per programmare un piano di salvataggio stelle, Strax tornò tutto trafelato, tirando faticosamente un enorme plico di fogli mezzi impolverati.

“Ecco fatto!” Disse lo straccio, soddisfatto per il lavoro portato a termine.

Calzy rimase allibito.

“C-cos’è?” Chiese.

“Ma come?!?” Sbottò Strax.

“Questa è la soluzione a tutti i tuoi problemi!”

“Cioè?”

“qui ci sono annotati tutti i programmi dei lanci spaziali.” Disse il giovane pezzo di stoffa che, anche se tutto sporco, aveva un sorriso che lo illuminava e trasmetteva la voglia di vivere.

A questo punto il pedalino si rese pienamente conto di essersi avventurato in un’impresa tutt’altro che facile, anzi, potremmo dire impossibile. Vedendo però il sorriso dell’amico, soddisfatto per l’aiuto dato e felice per Calzy, non volle renderlo triste e decise che sarebbe andato avanti nella sua impresa ad ogni costo, per non rendere inutile lo sforzo che quel povero straccetto aveva fatto per lui, senza averne nulla in cambio.

“Ok. Mettiamoci al lavoro.” Propose il calzino, pieno di buona volontà.

“C-come?” Chiese Strax sorpreso.

“Mettiamoci a cercare quando parte il prossimo razzo.” Ripetè Calzy.

“Ehm… Io non posso aiutarti” Replicò l’amico.

“Perché?” Il pedalino era di nuovo confuso.

Tra i fili della trama dello straccio si poteva scorgere il rossore di chi si vergogna di sé.

“Io…Io non so leggere.” Esclamò Strax teso come una corda di violino.

Ora anche Calzy era tutto rosso per l’imbarazzo. Non avrebbe mai pensato di conoscere qualcuno che non sapesse leggere e scrivere.

“Scusa” Mormorò con un fil di voce talmente basso che persino nel silenzio che si era formato fu difficile sentirlo.

“Nono fa nulla.” Sussurrò l’amico, cercando di nascondere il più possibile l’imbarazzo.

“Dai, mi metto al lavoro. Tu mi aiuterai a salire a bordo, vero?” Riprese il calzino, cambiando discorso.

“OK!” Esclamò Strax, quasi urlando.

Così i due si misero all’opera: uno studiando il programma parola per parola, l’altro cercando per ogni dove ogni genere di cosa che potesse essere utile all’amico nello spazio.

“Eureka!” Urlò Calzy ad un certo momento.

“Ce l’hai fatta?” Chiese subito lo straccio, ansioso.

“C’è un lancio che parte questa sera dalla piattaforma 9.” Disse il calzino tutto contento: il suo sogno stava, pian, piano, divenendo realtà.

Aspettarono che tutti gli impiegati fossero usciti dalla stazione spaziale e si incamminarono verso la piattaforma 9 che, per fortuna, non era troppo distante dallo sgabuzzino di Strax.

Arrivati Calzy rimase a bocca aperta: non aveva mai visto nulla di così maestoso!

La navicella spaziale, infatti, era a dir poco enorme. Era talmente alta che per poco il nostro calzino non cadde per terra cercando di vederne la punta.

“E’ incredibile… Non avevo mai visto nulla di più bello.” Sussurrò mentre le luci delle città, riflesse sulle pareti argentate del razzo, illuminavano la stanza comandi con un gioco di luci.

“Avevi mai visto nulla di simile?” Chiese all’amico straccio.

“Io ci vivo qui.” Rispose Strax, tutto indaffarato nel trovare il modo per far intrufolare il calzino nella navicella, come un clandestino.

“Ah già.” Annuì Calzy, un po’ amareggiato per aver fatto la figura dello sciocco.

“Ok, non ho la minima idea di come fare.” Borbottò lo straccio, con una grande confusione in testa.

“Aspetta, forse basta fare così.” Consigliò l’amico, e schiacciò un pulsante rosso col disegno di una porta sopra.

Improvvisamente il razzo emise uno strano rumore, come se avesse sbuffato, e si aprì il portellone

Proprio davanti alla scaletta per gli astronauti.

Davanti a quello spettacolo di tecnologia il nostro calzino sgranò gli occhi e rimase senza fiato.  L’apertura della porta aveva infatti riempito la stanza di una piccola nube di fumo che aveva circondato tutto il missile, tanto che sembrava un tutù bianco su di una ballerina altissima.

“Perfetto! Su, su, che aspetti? Se non ti sbrighi si richiude!” Esclamò lo straccio, mentre lo incitava ad affrettarsi spingendolo verso la sala decollo.

Subito Calzy iniziò a correre, o meglio, a saltellare, visto che era un calzino. Si infilò nella navicella un secondo prima che il portellone si richiudesse, riempiendo nuovamente di fumo tutta la sala.

Ce l’aveva fatta! Era finalmente riuscito a salire sul razzo che lo avrebbe portato nello spazio!

Si sentiva così sollevato e felice che si sarebbe messo a saltare per tutta la cabina, ma, purtroppo, non ne ebbe il tempo.

Stava infatti per mettersi ad urlare dalla gioia, quando il portellone si aprì di nuovo ed entrarono nella navicella quattro astronauti che, per poco, non calpestarono il nostro povero eroe.

Mentre Calzy cercava un posto al riparo dove potersi sistemare per il lancio, Strax non se la cavava certo meglio. La sala comandi, infatti, non era più deserta, ma tutti gli ingegneri addetti ai lanci erano arrivati ad organizzare anche questa spedizione spaziale. Lo straccio fu persino preso a calci da un impiegato troppo indaffarato a portare un plico di fogli per accorgersi di lui, ma riuscì a scappare e ad intrufolarsi su di un armadio per vedere la partenza dell’amico.

Tutta la stazione spaziale era un tripudio di luci; e, quando tutti i preparativi furono portati a termine, iniziò il conto alla rovescia.

10” Il razzo emise tutta una serie di rumorini elettronici.

9” Tutto iniziò a vibrare.

8” Calzy si sentì il cuore in gola.

7” Tutta la sala decollo si riempì di una spessa nube di fumo.

6” Il cantuccio che si era trovato il nostro pedalino iniziò a scaldarsi.

5” Il missile fece un rumore talmente assordante che Calzy non riuscì a sentire gli altri cinque numeri e si ritrovò spiaccicato sul pavimento quando, allo zero, la navicella si alzò finalmente da terra e riempì con una fiammata l’intera sala decollo di fuliggine.

Erano partiti.

In un ultimo gesto di saluto, Strax si stiracchiò agitando furiosamente il suo braccino fatto di stoffa ed urlando a squarciagola: “Ciao amico mio, buon viaggio! A presto!”.

Così il missile spaziale partì e si diresse nello spazio. Già, ma nello spazio dove? Quando il calzino si rese conto che non sapeva dove stesse andando, ma, soprattutto, dove dovesse andare per far tornare visibili le stelle sulla terra, si sentì di nuovo perduto.

Certo era riuscito ad andare nello spazio, ma ora non aveva la più pallida idea di cosa fare.

Non aveva più idee, l’unica cosa che gli continuava a martellare nella testa era la missione degli astronauti che viaggiavano con lui:

“Esplorazione sulla Luna.”

Se dovevano esplorare la Luna non potevano certo andare a riprendere le stelle!

Iniziò quindi a scervellarsi per trovare una soluzione. Per fortuna il nostro Calzy, anche se era solo un calzino, era molto intelligente, e non gli ci volle molto per arrivare ad un modo per viaggiare “indipendentemente”.

In ogni navicella spaziale che si rispetti, infatti, ci devono essere delle capsule di emergenza; così, se le cose si mettono male, gli astronauti possono cavarsela e tornare sulla terra. Ed una capsula di emergenze era proprio quello che serviva al nostro pedalino.

Si diresse dunque al fondo della navicella spaziale, dove di solito sono agganciate le capsule di emergenza, pronte all’uso.

Per il nostro piccolo eroe, ormai abituato a far funzionare marchingegni elettronici, non fu difficile accendere i motori e staccarsi dalla navicella madre; ma, quando si trovò nello spazio, in mezzo al nulla, si rese conto di quanto potesse essere complicato manovrare una nave spaziale.

Davanti a lui c’erano file e file di pulsanti, tutti con minuscole scritte incomprensibili sopra. Era completamente diverso dai video games, dove bastava usare il joystick.

Iniziò quindi a schiacciare tasti alla rinfusa sperando di trovare quello del pilota automatico, ma senza risultati.

La capsula continuò il suo percorso casuale e, dopo poco, si avvicinò e cadde su di un pianeta con un fragrante tonfo.

Il povero Calzy ne uscì integro, ma con un tremendo mal di testa. Tutta la terra gli girava intorno e non capiva più nulla.

Per fortuna era un calzino e non doveva respirare, perché quel pianeta non aveva il cielo azzurro e ricco di ossigeno che ha la terra.

Il calzino si alzò a fatica ed iniziò ad andare in cerca di una qualsiasi cosa che gli facesse capire dove si trovava e se era ancora vivo.

Tutto intorno non c’era che il blu scuro del cielo, puntinato di stelle, ed il rosso intenso che aveva la terra che calpestava, come quella dei campi da tennis, e che, come quella, lo sporcava tutto.

Stava ormai perdendo le speranze quando, improvvisamente, vide all’orizzonte uno strano edificio, come una di quelle stazioni di servizio che si incontrano quando si va con la macchina in autostrada. Gli sembrava di sognare.

Tremando per l’eccitazione si avvicinò e provò ad entrare per chiedere aiuto.

Come nei suoi sogni, la porta si aprì ed il calzino entrò strisciando nell’edificio.

Davanti a lui fu una festa di luci. Anche se dall’esterno sembrava un posto qualunque, l’enorme stanza dove si trovava era tutto il contrario. Sul soffitto era appeso un enorme lampadario, pieno di candele e di cristalli, che riflettevano la luce per tutto il soffitto colorandola con i sette colori dell’arcobaleno.

L’enorme sala era calda ed accogliente, le pareti ed il pavimento erano coperte di legno lucidato che, colpito dai raggi del candeliere, brillava ed illuminava la stanza ancora di più.

Nella stupenda stanza erano riuniti molti individui, stranissimi ed inimmaginabili, ma tutta con un vestito elegante ed un’aria molto seria disegnata sul viso. Ma, tra tutta quella strana gente, Calzy vide solo una persona.

Era una piccola serpentella tutta rosa, con due occhioni verde acqua, contornati da lunghe ciglia, ed una boccuccia piccola piccola, ma, comunque, sorridente.

Come tutti i presenti, anche lei era vestita in modo molto elegante, ed aveva una mantellina azzurro cielo, lo stesso cielo che Calzy si era fermato spesso ad ammirare per ore quando lo stendevano sul terrazzo dopo il bagno in lavatrice.

Quando Calzy si rese conto che quella bellissima serpentella lo stava guardando, sentì il cuore salirgli in gola e la coda tremargli come quella di un serpente a sonagli. Aveva già dovuto superare tantissime difficoltà, che lo avevano distrutto, ed ora che si trovava in mezzo a quella folla di alieni che lo guardavano incuriositi, si fece prendere dal panico.

La vista gli si appannò ed il nostro piccolo eroe, ormai senza un briciolo di forza rimastagli tra i fili, rimase pietrificato davanti alla porta, come una statua di sale. Sentiva tutti gli occhi dei presenti fissi su di lui ed i bisbigli dei più curiosi che chiedevano spiegazioni.

Per la prima volta da quando aveva visto il cielo grigio ed aveva deciso di partire per la sua missione, si pentì di aver avuto quella malsana idea di partire per lo spazio. Non era riuscito nel suo intento, anzi, non aveva fatto altro che pasticci ed era finito su di un pianeta sconosciuto, pieno di alieni che lo avrebbero di certo mangiato.

Mentre tutta la sala girava sempre di più, vide la figura di quella piccola aliena così dolce che gli si avvicinava.

La bellezza e la tenerezza di quella serpentella gli ricordarono la sua padroncina Anna, e gli riempirono il cuore di nostalgia.

Sussurrò: “Annina mia” e svenì.

 

 

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